I bagni museali

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Questo post non è di arte né di mostre, ma è del loro uso e funzione in spazi che spesso non si considerano artistici e invece sono di grande  impatto sull’esperienza di percepire l’arte. Si tratta dei bagni pubblici nei musei. Perché, vedete, non ho mai visto una rivista d’arte discutere i bagni né qualche fruitore parlarne sui social o di persona, così come spesso se ne parla dei bagni nei club o nei ristoranti, menzionandoli perfino nella valutazione su tripadvisor e yelp. Eppure i bagni sono un nonluogo che non è solo transitorio, ma anche ci si aspetta di rimanere quasi quasi invisibile per i suoi fruitori. La loro attenzione viene attivata solo quando c’è qualcosa che non va nei bagni, ma anche se invisibili lasciano un impatto subliminale nella mente. Malgrado questo o forse appunto per questo il bagno è un posto speciale nella coscienza dei visitatori di un museo.

La ragione, a mio avviso, è la seguente.  Durante una visita a qualsiasi museo viene attivata — anzi, la ragione stessa di visitarlo  — è lo stimolo visuale, l’attenzione intensificata all’aspetto visuale dell’ambiente. Una pausa bagno significa anche una pausa della tensione nell’attenzione, ma essendo i sensi già stimolati, è in questo momento che l’impatto visuale colpisce ancora più forte. Abbiamo abbassato la guardia psicologicamente ma abbiamo anche la sensibilità già stimolata. In questa occasione i musei intelligenti colgono l’opportunità di fare il colpo, cioè, di indirizzare questa sensibilità dei visitatori verso l’arte quando continueranno il loro percorso. I bravi disegnatori dello spazio, gli architetti d’interni, lavorano con i direttori del museo e i risponsabili di visitor experience per integrare i bagni alla missione del museo. Non è solo questione di branding, ma anche di continuità della percezione aperta all’arte.

RachofskyWarehouseGuardate un po’ il bagno di Rachofsky Warehouse, di cui vi ho raccontanto nel passato. Essendo l’unico posto del museo in cui è permesso di fare foto, il bagno non è assolutamente privo di arte, ma invece ospita l’installazione di Shuji Mukai, artista giapponese. La carta asciugamani in realtà consiste di tovaglioli collezionabili pure disegnati da lui. Lo spazio non è una pausa visuale ma è un’opera d’arte di per se, con riferimenti ai graffitti che ci aspettiamo di vedere nei bagni pubblici. E siccome la fotografia è permessa solo qui, i visitatori sembrano quasi spinti a fare foto e poi pubblicare i selfie; di consegnenza, sono stimolati ulteriormente a fare attenzione a quello che li circonda.

LaTriennaleL’edificio modernista della Triennale di Milano non poteva perdere l’opportunità di rafforzare, con il proprio bagno, le forme rettangolari, la molteplicità degli spazi e specialmente la sensazione di perdersi nelle sale delle mostre. La Triennale non ha una collezione permanente, per cui non può fare riferimento a un’estetica specifica, ma comunque riesce, con questo bagno semplice e prospettive in conflitto tra di loro, a evocare il senso generale dell’offerta artistica che ospita. La luce è bassa e riflette l’esperienza di visione nel resto del museo.

ArmaniSilosQuesto invece è il bagno di Armani Silos, un museo singolare che ospita sia mostre di arte che di storia della moda Armani. L’interno usa dei colori – nero e ocra – che si collegano all’esposizione di gioielli e accessori del secondo piano e ricordano le teche e gli oggetti esposti. Sono stata particolarmente colpita dalla luce, forte ma nascosta in superfici e angoli inaspettati. Messaggio consistente, direi.

UffizziQualcuno potrebbe dire che il bagno degli Uffizi è solo uno spazio utilitarista che ha semplicemente lo scopo di subire le ondate costanti di visitatori e le loro lunghissime file. Ma l’ambiente ricorda in modo un po’ strano le sale d’esposizione e le loro pareti bianche (nella maggior parte) circondate di legno. E siccome è sempre pieno di gente, le figure dell’interiore fanno un richiamo alle pitture figurative della collezione.

NewMuseumAlla fine, The New Museum of Contemporary Art alla Bowery di New York City. Il design floreale dei muri potrebbe sembrare un po’ fuori posto in questo museo, ma uno sguardo un più attento mostra le piastrelle che ricordano dei pixel. Un combo di riferimenti a motivi tradizionali e new media, in un ambiente rilassante “naturale” –  si capisce l’allusione? 😉 – e il risultato è una strategia vincente. Il richiamo della natura.

OK, ammetto che questo elenco è semplicemente indagine di campo scherzosa sulla strategia di branding dei musei attraverso le loro strutture di uso pubblico utilitario, per così dire, e come vengono integrati nella visitor experience generale. Purtroppo la ricerca è alquanto soggettiva perché, purtroppo, ho preso in considerazione solo i bagni femminili e non è mica detto che quelli per uomini sono uguali.

L’elenco è anche abbastanza incompleto. Ci sono tantissimi bagni museali che non ho potuto indagare oppure ho visitato ma non ne ho la documentazione: per esempio, il bellissimo, spazioso e rilassante bagno del Amon Carter Museum of American Art a Fort Worth, TX e quello verde chartreuse della  Fondazione Prada a Milan o BASE, pure a Milan, dove la luce del bagno viene proiettata sui muri esterni attraverso un’apertura scolpita sulla porta. Per non parlare di quella pratica e nostalgica industriale di Pirelli HangarBicocca.

Avete qualche bagno interessante che racommandate? 😉

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