Museo della strada

 

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In ottobre del 2017 a Dallas ha aperto le porte il Museo della cultura di strada. Ha aperto in modo letterale e metaforico, cambiando con questo tutto un concetto e pratica nell’intendimento della strada e la pratica artistica e sociale collegata con questa.

Prima di tutto, naturalmente, si tratta della cosidetta street photography: quel genere fotografico

disputato esteticamente e controverso eticamente che prima si poteva vedere sulle pagine delle riviste, ma raramente nei musei. Con il suo nome e contenuto, questo museo cambia radicalmente la sua impostazione.

Ma non e’ solo il contenuto. Le fotografie di strada sono esposti nella strada, letteralmente sui portoni (formato grande, visibile da lontano senza avvicinarsi) e sui mattoni (formato piccolo, da dover avvicinarsi e soffermarsi) dell’edificio. In piu’, lo spazio espositivo veramente e’ solo l’esterno, siccome l’interno dell’edificio gia’ ha uno scopo: e’ l’alloggio per senzatetto del centro di Dallas. Alla fine, il primo progetto espositivo e’ Tiny di Mary Ellen Mark, l’emblematica serie dei ragazzi senzatetto di Seattle che ha durato decenni.

Quindi, in questo museo, la strada e’ un concetto di contenuto tematico, genere, mezzo espositivo. In piu’, il concetto e’ radicato anche nella natura dell’oggetto museale. Le fotografie esposte non sono copie di archivio che dureranno per sempre – o almeno 150 anni come di solito garantito – ma sono copie prodotte industrialmente che sono di strada siccome subiscono gli effetti della strada – il clima, i graffi e gli sguardi dei passanti, la maggior parte di loro clienti del rifugio, che li integrano nella loro vita di ogni giorno. La mostra evolvera’ e cambiera’ con il tempo: il progetto di Mary Ellen Mark sara’ esposto gradualmente, cosi’ da raccontare una storia con il suo evolversi cronologico. Mutevole come la strada stessa.

Rimane pero’ di pensare se la cultura della strada in se’ ha bisogno di essere conservata e in che senso. Un museo presuppone la conservazione e la valorizzazione di oggetti, che possono sparire. Come abbiamo visto, questo museo non ha oggetti da conservare, e in questo senso e’ un anti-museo. Ma il concetto di strada, o di vivere in strada? Proponendosi di conservare il punto di vista delle persone che vivono in strada – che sono anche guide in questo museo, pagate – Il progetto valorizza il loro punto di vista. Il museo non e’ delle foto, ma valorizza un’esperienza che di solito si intende che deve essere dimenticata, taciuta, non annunciata; in una parola, vergognosa e da uscirne il piu’ presto possibile. Il museo non propone di allungarla e perpetuarla, ma di conoscerla e darle lo spazio culturale. In questo senso, si conserva.

Ma l’esperienza della vita in strada comporta anche altre dimensioni a parte i senzatetto. Non siamo tutti che abbiamo una vita in strada? Cosa vuol dire una vita di strada – dormire li’? Non avere altro indirizzo? O dare luogo, integrare nella propria vita la strada stessa come veicolo di esperienze, spazio e relazioni. In questo senso, anche se probabilmente non pensato, il concetto di strada e’ altamente conservabile e valorizzabile. Perche’ le strade di Dallas veramente non hanno molta vita – a parte due vie, non ci passa nessuno, non ci “vive” nessuno. Sono dominati dagli automobili che li usano per arrivare dal punto A al punto B. Il concetto urbanistico della strada, che negli ultimi decenni sta acquirendo velocita’, in cui la strada come vita per tutti viene riproposta come un valore, riceve una spinta con questo museo. La vita di strada si presenta come un valore, insegnato da quelli che ci vivono,

In questo senso la loro esperienza, da vergognosa, diventa esemplare da cui imparare ed emulare. Questa e’ la vera innovazione concettuale del museo.

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